Sandra Pucci
interviste sul mondo del restauro
I restauratori fanno un lavoro bellissimo. Un po’ come il nostro, difficile ma bello. Condividono con noi la passione per la materia che si traduce in arte. E la conoscono la materia, in modi che a volte si sovrappongono, a volte sono complementari a quelli dei diagnosti.
Il loro punto di vista aggiunge sempre qualcosa di nuovo e importante.
Con SANDRA PUCCI, restauratrice, abbiamo lavorato ad un’opera che veniva considerata “minore”, ma che ha riservato molte sorprese (soprattutto quando si sono trovate le risorse per fare diagnostica): il San Giovanni Battista della chiesa di Santo Stefano di Empoli. Si tratta di un dipinto seicentesco ad olio su tela, una copia (o una versione o una replica?) del dipinto conservato al Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City e attribuito, se pur con qualche riserva al Caravaggio.
Sandra, come si diventa restauratrici?
- È una professione che mi ha attratta fin da giovane, poiché capivo che, attraverso di essa, era possibile entrare a stretto contatto con l’autore dell’opera e il suo linguaggio, raggiungendo una vera e propria intimità esclusiva.
Per quel che riguarda il mio percorso formativo, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze, unico accesso possibile per me, in quegli anni, alla materia del restauro. Decisi di iscrivermi perché all’interno del piano di studi era possibile frequentare il corso di restauro tenuto da uno dei più importanti restauratori all’epoca, il prof. Paolo Gori, ed era un buon modo per approcciarsi al mondo del restauro; infatti imparare la materia del restauro da un maestro restauratore aveva, in quegli anni, la stessa valenza di una scuola specializzata come poteva essere allora l’Opificio delle Pietre Dure , che peraltro, proprio in quegli anni, presentava notevoli difficoltà di accesso per problemi interni alla propria organizzazione. Oltre a questo, la Soprintendenza non richiedeva un diploma specifico, ma una specifica preparazione, soprattutto di bottega.
Come è andata con il San Giovanni di Empoli? La campagna diagnostica sul dipinto di Empoli è stata commissionata a restauro già iniziato
Purtroppo lavorare in provincia significa fare conti con budget molto risicati e spesso le analisi di diagnostica vengono scartate, o neanche considerate, per i costi.
Anche il restauratore deve proporre un progetto con costi molto più bassi rispetto a quanto è solito fare, si tratta di trovare un compromesso tra le necessità dell’opera e le disponibilità del committente.
Quando ho iniziato a lavorare nei miei comuni di riferimento, Empoli, la Valdelsa, ho trovato tanti restauri ‘fai da te’ che in certi casi facevano accapponare la pelle, rendendo le condizioni di certe opere ancora più precarie. Restauri eseguiti senza alcun permesso da parte dell’organo preposto alla tutela, cioè la Soprintendenza. Ed è una cosa molto grave, perché in provincia si trova tanta parte del patrimonio artistico italiano.
La possibilità di eseguire una campagna diagnostica sul San Giovanni c’è stata solo in un secondo momento, certo è che se fosse stata fatta prima del restauro sarebbe stato diverso, ma questo è facilmente comprensibile.
Mi sono trovata di fronte ad un dipinto completamente spellato a causa di un precedente intervento di restauro che ha gravemente rimosso, in fase di pulitura, lo strato superficiale dell’opera. Come spesso succede, per ovviare al danno arrecato fu eseguito un pesante ritocco pittorico a tempera, alteratosi nel tempo, che compromise ulteriormente la leggibilità dell’opera.
Le indagini condotte da Art-Test hanno permesso di evidenziare la buona tecnica esecutiva, oltre alla individuazione dei pigmenti usati, tutti compatibili con una esecuzione seicentesca, e alcuni “pentimenti”. Indizi interessanti. Sulla base dei ragionamenti fatti a seguito delle analisi, ci siamo resi conto che il dipinto ha in sé potenzialità da approfondire; la diagnostica, in questo caso, potrebbe essere lo strumento più importante, poiché se ora ci troviamo di fronte ad una pittura priva di forza, questo non deve tranne in inganno perché è a causa di una problematica storia conservativa. Il dipinto conserva le finiture pittoriche originali solo in poche parti dell’insieme.
Anche alla luce dell’esperienza con il San Giovanni, raccomanderesti di fare diagnostica?
La diagnostica è fondamentale, dovrebbe essere sempre il primo approccio. Incide purtroppo il costo, soprattutto in determinati casi ed in realtà particolari come il territorio.
Forse dovrebbe essere un costo coperto dalla Soprintendenza stessa, sicuramente nelle piccole realtà la necessità di tali costi è difficilmente comprensibile
A scoraggiare è anche ricevere risposte incerte e che poi si scopre non corrispondere alla realtà dei fatti. La serietà di chi fa le analisi è indispensabile. Come è fondamentale il rapporto tra diagnosti e restauratori, che credo si debba basare sulla fiducia reciproca.
Per approfondire i risultati sul San Giovanni Battista, potete vedere la registrazione del convegno tenutosi a Empoli l’11 Aprile 2016 (qui il ns intervento), moderato da Bruno Santi con relazioni di Mina Gregori, Nicole R. Myers, Maria Cristina Terzaghi, Angela Cerasuolo, Valfredo Siemoni, Cristina Gnoni Mavarelli, Sandra Pucci, Anna Pelagotti, Roberta Lapucci, Marco Masseti, Gianni Papi
