Ott 25, 2020

E’ sempre attuale l’annosa questione riguardante l’autenticazione delle opere d’arte, sia antiche che moderne. Ancora oggi non sono stabiliti protocolli scientifici condivisi su cui poter poi iniziare una discussione corretta su questo argomento. Non più tardi di ieri questa problematica è tornata evidente osservando l’andamento di un’asta.

Sono stati battuti in asta due dipinti dichiarati “FOLLOWER OF SIR PETER PAUL RUBENS, circa 1700”, che erano già stati venduti sei mesi fa dalla stessa galleria ma con diversa dicitura, ovvero “CICLE OF SIR PETER PAUL RUBENS”.

Cosa è accaduto negli ultimi sei mesi per poter portare i dipinti da essere di “bottega” ad essere “copia” del secolo successivo?

Le stesse due opere undici anni fa furono aggiudicati da un’altra grande casa d’asta per una cifra pari al doppio dell’ultima di aggiudicazione.
Come può accadere ciò? Quali informazioni si sono aggiunte tra un’asta e l’altra?

I Condition Report pubblicati generalmente, e anche in questo caso, riportano solo le condizioni di conservazione, osservate piuttosto superficialmente. La provenienza solo raramente aggiunge informazioni decisive sulla autografia. Come del resto è il caso questa volta.
Ci chiediamo come mai non venga espressamente dichiarato in catalogo se sulle due tavole sia stato eseguito un qualsiasi tipo di analisi che abbia fatto modificare opinione sull’attribuzione. Si potrebbe pensare ad analisi eseguite ed il cui risultato ha evidenziato un anacronismo nei materiali utilizzati, o un C14 sulle tavole. Un Condition Report arricchito da Radiografia, Riflettografia e analisi del colore avrebbe chiarito molte dubbi.

Soprattutto in un momento come questo dove le case d’asta offrono solo vendite online, sarebbe opportuno proporre opere con curriculum più particolareggiati, arricchiti anche da elementi che l’occhio umano non può percepire. Si potrebbe così offrire una trasparenza completa, un de-risking per l’investimento e quindi un incentivo all’acquisto. Chi compra a scatola chiusa?