La rocambolesca storia di un cambio d’abito che doveva rimanere segreto

Giu 26, 2022

Si chiuderà il 24 luglio prossimo la mostra che Piacenza ha dedicato al padre della Secessione viennese col titolo Klimt. L’uomo, l’artista, il suo mondo. Il perché di questa scelta è presto detto: finalmente torna “a casa” uno dei tre soli capolavori dell’artista viennese presenti in Italia, e cioè il Ritratto di signora appartenente proprio alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza. È un ritorno a lungo atteso e per certi versi ormai non più sperato quello di quest’opera, vista la travagliata vicenda che lo ha segnata, e che sconvolse per parecchi anni il mondo dell’arte e non solo. La storia di una clamorosa scoperta, e poi di un altrettanto clamoroso furto e infine di un insolito ritrovamento che è avvenuto dopo oltre vent’anni. Non può essere che una grande gioia quella della città per il ritorno dell’opera nella sua sede originaria.

Cerchiamo dunque di ripercorrere in breve questa romanzesca storia.

Tutto inizia nel 1925, quando il collezionista piacentino Giuseppe Ricci Oddi acquistò dal milanese Luigi Scopinich per 30.000 lire l’opera di Klimt Ritratto di signora, che così entrò a far parte della ricchissima collezione che il mecenate aveva ormai allestito in un grande edificio appositamente da lui fatto costruire.

Questa vita “provinciale” dell’opera viennese, un po’ sonnacchiosa, non particolarmente esposta alle luci della ribalta, cambiò improvvisamente nel 1996, quando una liceale di Piacenza, Claudia Maga, facendo una ricerca per la scuola, incontrò per la prima volta il Ritratto di signora del 1916-17 e, tornata a casa, si mise a sfogliare il volume dei Classici dell’Arte Rizzoli dedicato a Klimt. Tra le piccole fotografie in bianco e nero del repertorio finale, la studentessa ne scorse una che le sembrò l’opera della sua città ma, a un secondo sguardo più attento, vide che in realtà era un altro dipinto, dal titolo Ritratto di ragazza esposto nel 1912 a Dresda, ma la somiglianza era molto forte. Dell’opera del 1912, della quale esiste una sola fotografia pubblicata proprio nel 1912, si erano poi perse per sempre le tracce. Il perduto ritratto raffigurava una giovane donna identica nel volto e nella posa a quella piacentina, ma abbigliata in modo diverso, soprattutto con un grande cappello nero, un elemento che ritroviamo più volte nei ritratti di Klimt in due particolari momenti, ovvero alla fine dell’Ottocento, e tra il 1907 e il 1910, quando alla moda di questi ampi cappelli si univano vistosi boa di piume o grandi stole.

Alla studentessa non sfuggì che tra le due figure c’erano molti punti di contatto, e ne ebbe la prova con un metodo empirico ma molto efficace: ricalcò con un foglio di carta trasparente l’opera del 1912 e poi sovrappose il foglio al ritratto del 1916-17, e vide che i volti delle due ragazze erano esattamente lo stesso. Che la sua non fosse un’ipotesi campata in aria se ne resero conto anche i funzionari dell’epoca ai quali la testarda studentessa si rivolse, e subito portarono il dipinto all’ospedale cittadino per delle primissime lastre a raggi X, che dettero una prima parziale conferma dell’esistenza, sotto i colori, di un’altra versione del dipinto. Insomma, sotto l’immagine klimtiana ormai universalmente conosciuta dormiva, da più di ottant’anni, “qualcosa”, e per scoprire davvero cosa era, il Comune di Piacenza, d’accordo con la direzione della Collezione Ricci Oddi, decise di fare delle indagini scientifiche.

Le metodologie usate per queste indagini furono di quattro diversi tipi, e cioè raggi X, la fotografia in infrarosso, l’infrarosso fotografico falso colore, e infine la fotografia della fluorescenza ultravioletta . Sono tutte tecniche che nel frattempo sono molto migliorate, ma che anche allora avevano in comune il fatto di produrre immagini di quello che non si vede ad occhio nudo, ed essere “non distruttive”, e cioè sono analisi che permettono di vedere oltre gli strati superficiali del colore senza minimamente manometterli. I dati rilevati da queste analisi sono stati poi elaborati al computer, considerando gli strati cromatici sottostanti e le variazioni di spessore. L’elaborazione è stata tradotta in una mappa in valori numerici dalla quale infine, anche senza ricorrere al moderno XRF a scansione, si è ottenuta una fedele ricostruzione in forma digitale dell’immagine soggiacente al Ritratto di signora. Dunque l’intuizione della studentessa Claudia Maga era giusta: sotto il Ritratto di signora c’era davvero, nascosto e dimenticato, il Ritratto di ragazza che Klimt aveva dipinto 5 o 6 anni prima.

Klimt coprì il cappello e liberò il collo dalla sciarpa presumibilmente tra la fine del 1916 e il 1917, e infine cambiò il titolo in Ritratto di signora. Naturalmente non sapremo mai perché. Un cambio di gusto? Un ricordo da cancellare?

Ma le avventure di questo piccolo dipinto non finiscono qua. Infatti, durante le fasi di imballo delle opere della collezione per la preparazione della mostra Da Hayez a Klimt. Maestri dell’Ottocento e Novecento della Galleria Ricci Oddi, pensata proprio per celebrare la scoperta del “doppio” ritratto, il dipinto di Klimt sparì misteriosamente fra il 19 e il 22 febbraio del 1997. Un furto che apparve subito strano e carico di depistaggi.

Inizialmente si diffusero, enfatizzandole, le prime curiose ipotesi che raccontavano di un ladro acrobata che si era calato dal lucernario per eludere l’allarme, e questo solo perché la cornice era stata trovata appena sotto il lucernario, sul velario. Ma ben presto ci si rese conto che un uomo non poteva passare dal lucernario, e dunque rimase valida l’ipotesi più semplice, cioè quella del passaggio dei ladri dall’ingresso principale. Infatti non fu rilevato alcun segno di scasso alle finestre o alla porta e l’allarme funzionava perfettamente, ma non aveva suonato. Dunque la cornice fatta ritrovare sul velario era un clamoroso depistaggio, mentre invece appariva evidente che qualcuno da dentro aveva aperto la porta la ladro e manomesso il sistema d’allarme.

Si tratta di una vicenda lunghissima, costellata di falsi ritrovamenti e piste bizzarre, addirittura sfociate nell’esoterismo, che è andata avanti per ben 22 anni, fino al 10 dicembre 2019, quando ci fu il ritrovamento dell’opera, ugualmente strampalato e misterioso. Infatti quel giorno alcuni operai che compivano delle operazioni di giardinaggio lungo il muro esterno del museo, ritrovarono il Ritratto di signora in un sacco nero all’interno di un piccolo vano chiuso da uno sportello senza serratura nel cortile del museo.

La scoperta fu clamorosa ma si presero le giuste precauzioni per evitare di cadere in uno scherzo di cattivo gusto. Fu nominata una commissione di 3 esperti e subito iniziarono le indagini scientifiche per verificarne l’autenticità. Alla fine dei 30 giorni concessi, non ci fu più alcun dubbio, l’opera era proprio lei. Anche in questo caso sono state fondamentali le analisi fatte sull’opera. Gli esperti hanno scattato fotografie in infrarossi al dipinto e le hanno confrontate con quelle del 1996. Le immagini coincidono. Sul retro poi sono stati ritrovati i fili di rame dell’allarme. Coincidono anche le riprese fotografiche in fluorescenza UV; si nota infatti la medesima fluorescenza in corrispondenza del collo e parte della guancia della Signora. Conferma le corrispondenze anche la fotografia in luce radente, in particolare la craquelure, l’andamento della maglia del cretto superficiale. Anche il retro della tela mostra un ordito compatibile con l’originale. Infine, sono state ritrovate anche le tre marchiature della Galleria Ricci Oddi che erano presenti sul retro della tela e del telaio.

Fugato ogni dubbio, finalmente l’amato Klimt può tornare nella sua abitazione piacentina!

Filippo Melli
Filippo Melli