un’idea per contrastare i traffici illeciti
Il patrimonio artistico e culturale non può essere valutato un tanto al kilo, come qualsiasi altro prodotto. Necessariamente entrano in gioco parametri diversi nella stima del valore di un’opera d’arte. E’ la sua esistenza, ancor più la sua possibile mancanza, che ne aumenta il valore. La sua esistenza è fonte, documento, legame con il passato. Lo illustra, lo tramanda. Se il manufatto non esistesse più, se non fosse stato protetto adeguatamente, avremmo uno iato incolmabile in quello che è il discorso storico, prima che un danno economico. La domanda: “quanto vale un’opera d’arte?” è di difficile risposta.
Tuttavia, come evidenziato nell’articolo di Giuseppe Miceli, giurista esperto di antiriciclaggio, dal titolo “Un passaporto per i beni culturali”, comparso alcune settimane fa su the Journal of Cultural Heritage, la mancanza di norme condivise per la valutazione delle opere, un mercato dell’arte, totalmente sregolato, avvantaggia, con la sua volatilità, con quotazioni aleatorie e le successive vendite a prezzi strabilianti, il riciclaggio di proventi illeciti, pur con vendite totalmente legali.
L’analisi condotta dall’FBI sul traffico illecito delle opere d’arte, lo stima tra il 9-12% dell’intero volume d’affari del settore. Analisi confermata anche da Enti nazionali come la Direzione Investigativa Antimafia o la Commissione Parlamentare Antimafia.
Per constratare questo fenomeno, di cui l’Italia è una delle maggiori vittime, Giuseppe Miceli ha pensato di mettere a punto un progetto per la tracciabilità dei Beni Culturali, ovvero la creazione di un Registro dei Titolari di opere d’Arte, al pari di quello che succede per altre categorie merceologiche. In questo modo sarebbe possibile monitorare ogni passaggio di proprietà di un qualsiasi manufatto, come si fa adesso per le auto, ad esempio. Questo registro verrebbe utilizzato come un deterrente all’utilizzo di somme di dubbia provenienza perché verrebbe registrato anche il valore di acquisto.
Le opere verrebbero fornite di un contrassegno “elaborato e applicato dall’Istituto Poligrafico dello Stato”, i dati inseriti del contrassegno farebbero riferimento ad un database in cui saranno presenti tutte le informazioni sul manufatto. Naturalmente la contraffazione di questo o la manomissione sarebbero oggetto di procedimenti penali.
I manufatti che non muniti di contrassegno sarebbero ritenuti non autentici.
Ma la domanda che ci poniamo è: come verrebbe verificata l’autenticità, e questa prevedrebbe anche la determinazione della certezza dell’autografia nell’apporre il primo bollino? Come farebbe questo strumento a tenere conto di quelle che sono le variazioni di valore dovute alle nuove attribuzioni, alle scoperte scientifiche? Sarebbero accessibili i dati diagnostici che certamente potrebbero essere un supporto per la conservazione dell’opera stessa ed anche prova di autenticità?
Abbiamo trovato davvero interessante la proposta ma la sua fattibilità richiede risorse e competenze. Un investimento importante.
In ogni caso una regolamentazione di un mercato dove attualmente è possibile scambiare molti milioni senza nessuna regola, è sempre più necessaria.