Spesso per autenticare un’opera d’arte si fa ricorso alla sua provenienza, ovvero al susseguirsi dei vari proprietari, per cercare di risalire al primo e al contratto di acquisto dall’autore.
Ma sono dati per niente semplici da verificare. Al contrario, si tratta di un terreno molto insidioso, perché anche questi documenti si possono falsificare. Ed è spesso più facile che falsificare un’opera.
Il mercato dell’arte, in particolar modo quello che riguarda l’arte contemporanea, sembra essere costellato da falsi in costante aumento. Secondo il Comandante della sezione “Falsificazione ed arte contemporanea” del Comando Carabinieri Tutela patrimonio culturale, nel 2018 quasi il 70% del mercato dell’arte contemporanea in Italia era composto da falsi. E falsa spesso in questi casi è anche la documentazione fornita per stabilirne la storia e quindi la provenienza.
Anche solo il mese scorso sono apparse sulla stampa notizie eclatanti di falsificazioni di lettere, ed anche di fotografie, per supportare l’esistenza di un legame tra il venditore e l’autore delle opere, come nel caso dei lavori presunti di Diego Giacometti venduti da Sotheby’s o i falsi Hambleton e Hendricks venduti a più di 15 gallerie negli Stati Uniti.
È fondamentale valutare la veridicità della provenienza anche perché l’opera potrebbe esser stata rubata o razziata. Anche se in questo caso si tratta, molto spesso, di omissioni: queste informazioni non vengono riportate, come nel caso del Pissarro acquistato dal barone Thyssen-Bornemisza. Solo in seguito ad una lunga e aspra causa legale, è emerso che il dipinto fu confiscato da Paul Cassirer (importante gallerista tedesco) durante la Seconda Guerra Mondiale.
È vero che generalmente è impossibile riuscire a stabilire la catena di proprietà per la mancanza di documenti o fonti attendibili, soprattutto per le opere antiche “minori”. Un esempio è il “Cristo deriso” di Cimabue. Il dipinto, di piccole dimensioni, appeso nella cucina di un’anonima casa nella campagna francese, sembra appartenuto da sempre alla stessa famiglia, ma le notizie riguardanti le origini sono solo fumosi e lacunosi ricordi.
Anche i casi di falsa provenienza per opere apparentemente e più importanti sono davvero molti, ma ce n’è uno davvero eclatante che riguarda il Getty Museum. Il Museo, che nel 1983, sta per acquistare un Kouros greco datato 530 avanti Cristo, decise di convocare un comitato per stabilire l’autenticità della scultura, con esperti provenienti da ogni parte del mondo, fra questi anche Federico Zeri. Il quale però, si rese immediatamente conto che qualcosa non andava in quel Kouros, addirittura affermò averlo “assaggiato”. L’irriverente studioso sosteneva infatti che gli acidi, i solventi e i coloranti restano nelle sculture per decenni e quindi leccando il marmo è possibile capire se sono state usate sostanze per dare una “patina antica”.
Non fu l’unico parere contrario, anche l’esperta di arte greca Evelyin Harrison e Thomas Hoving, sostenevano la non autenticità della scultura. Si effettuarono anche ricerche riguardanti la provenienza. La scultura era accompagnata da una serie di documenti. Questi, avrebbero voluto dimostrare che l’opera faceva parte di una collezione a Ginevra del Dr. Jean Lauffenberger, che sosteneva di averla acquistata da un commerciante greco nel 1930, ma senza menzionare alcuno scavo. Fra i vari documenti c’era anche una lettera che destò non pochi sospetti. Si scoprì che il codice postale non esisteva fino al 1972 e che un conto bancario, citato nella lettera, riguardante le riparazioni sulla statua, non era stato aperto fino al 1963.
In altri casi viene in soccorso la diagnostica che, come nel caso del prolifico falsario tedesco Wolfgang Beltracchi per esempio, individuò che l’inchiostro con cui era stampata un’etichetta sul retro, o a volte il tipo di stampa, non erano compatibili con il periodo si esecuzione supposto.
Insomma alla fine i dati che attestano la provenienza sono comunque documenti fisici, e come tale dovrebbero essere trattati. Prima di prendere per buono quello che tramandano, è prudente accertarsi della loro autenticità. Se sono falsi possono essere smascherati, ed è meglio che questo succeda prima di andare in causa.