Una polemica sui risultati del recente restauro di un dipinto di Piero della Francesca agita il mondo dell’arte
L’approccio del Regno Unito al restauro è stato al centro di molte controversie sin dal 1840, ed è oggi nuovamente sotto attacco.
Dopo tre anni di intenso lavoro, la ‘Natività’ di Piero Della Francesca è tornata in mostra al pubblico, un regalo di Natale per i visitatori della Galleria. Un’operazione che però si è ritorta contro la prestigiosa istitutione londinese, sollevando critiche asprissime.
“Cosa in nome di Dio ha ispirato i restauratori a ridipingere completamente i due volti dei pastori facendoli apparire come degli idioti?” ha scritto sul Guardian Jonathan Jones.
Torniamo indietro nel tempo a quando nel 1947 la National Gallery organizzò la rassegna “Cleaned Pictures”, esponendo una serie di dipinti che erano stati segretamente restaurati durante la Seconda Guerra Mondiale. Anche allora artisti e conoscitori rimasero inorriditi dai risultati.
La cosiddetta “cleaning controversy” andò avanti per anni. Riguardava la conservazione dei dipinti, e soprattutto le diverse metodologie, pratiche e teoriche, per affrontare la pulitura dei dipinti.
Regno Unito e Italia erano su fronti opposti.
Nel 1949 il teorico del restauro italiano Cesare Brandi scrisse un articolo di fuoco sul Burlington Magazine, spiegando concetti come patina, vernici e velature, finiture che gli artisti del passato erano soliti applicare sulle loro opere. Pellicole che i metodi di pulizia impiegati dai restauratori della National Gallery furono accusati di rimuovere tout court, dopo averle classificate come “sporco” o “vecchia vernice”, e finendo così per perdere per sempre una parte fondamentale del dipinto.
Un disastro irreversibile.
Tuttavia la controversia ebbe anche effetti positivi. Ad esempio, stimolò una serie di passi in avanti nella conservazione e nella pulitura delle opere. Brandi pubblicò nel 1963 il volume “La Teoria del Restauro”, dove sottolineò tra l’altro come sia doverosa la condivisione tra esperti e studiosi delle metodologie della conservazione.
Qual è stato il ruolo della scienza in questo? È interessante notare come all’epoca le azioni della NG furono difese dicendo che i restauri erano stati “scientifici”.
Ma vi si rispondeva che solo il 5 per cento dei test “scientifici” avevano una qualche utilià, il resto era semplicemente “vetrina”. Fu anche sostenuto che un restauro non poteva essere considerato sicuro e non problematico perché “scientifico”. Un colpo basso anche alla credibilità della scienza per i beni culturali.
Sarà vero? La scienza potrebbe essere inutile o addirittura fuorviante?
La risposta è chiaramente no.
Per quanto riguarda la pulitura, i limiti dipendono da un’analisi critica: mentre la scienza offre informazioni oggettive su un’opera d’arte e sul suo stato di conservazione, tramite radiografie, riflettografie, analisi dei materiali, il restauratore deve interpretarla al momento dell’intervento sull’opera, un processo che dipende in gran parte dalla sua capacità tecnica e anche dall’esperienza dello specialista incaricato del processo decisionale di conservazione-restauro.
Come sempre è di fondamentale importanza comprendere ciò che la scienza ha da offrire ed essere pronti a scambiare idee ed esperienze.