Mag 9, 2022

Le analisi scientifiche svelano come David compose il celebre dipinto “La morte di Marat” e come lo nascose durante il suo esilio a Bruxelles

In questi tempi di guerra, il Museo Reale di Belle Arti di Bruxelles dedica una mostra alla tela di David che inscena l’assassinio di Jean Paul Marat nel 1793, dipinto solo pochi mesi dopo il fattaccio. Si tratta di un’opera politica, commissionata dal comando rivoluzionario al pittore, come omaggio ai martiri della Rivoluzione Francese.

David ha inteso con questa immagine contribuire alla santificazione di un attivista sovversivo che viene rappresentato quasi fosse un Cristo -ispirandosi alle composizioni del Michelangiolo, Raffaello, Caravaggio-, che per tenere fede ai propri ideali sceglie di sacrificare la propria vita. In realtà non andò proprio così.

Marat venne assassinato da una giovane donna, Charlotte Corday, a casa sua, mentre era immerso in una vasca da bagno.

Jean Paul Marat, figlio di un ex frate sardo di cognome Mara, poi francesizzato in Marat, era infatti affetto da una patologia dermatologica che lo costringeva, nel tentativo di alleviarne i sintomi, a stare immerso in latte di mandorla per la gran parte delle sue giornate. Dopo una carriera piuttosto fallimentare come medico e scienziato, divenne molto popolare come politico e giornalista. Dalle colonne de “L’amico del popolo” incitava i suoi contemporanei con toni estremamente violenti, a non fermarsi dopo la prima fase della rivoluzione, ma a continuare a sbarazzarsi, con metodi sanguinari, non solo degli esponenti della monarchia, ma anche dei rivoluzionari più moderati.

Esasperata dai massacri che ne conseguivano, Charlotte credette di poter mettere fine a tutto questo facendo fuori Marat. Pagò per questo venendo ghigliottinata, e non riuscì neppure nell’intento: la fase del Terrore, con epurazioni di massa e decine di migliaia di morti anzi si intensificò, fino alla destituzione di Robespierre.

La “Morte di Marat” è l’unico dipinto legato alla propaganda rivoluzionaria di David che rimane. Il suo pendant, la “Morte di Lepeletier”, fu distrutto, si pensa, durante il colpo di stato del 1794 e la “Morte di Bara” non fu mai completato.

La “Morte di Marat” è giunto a noi solo perché David riuscì a nasconderlo. Ma come? Per capire come questo sia avvenuto si è ricorsi alle analisi diagnostiche.

Nonostante ci siano biblioteche piene di libri che analizzano questo dipinto dal punto di vista stilistico e politico, si è giustamente e finalmente ritenuto opportuno studiare l’opera anche con una campagna diagnostica approfondita, tramite il progetto FACE TO FACE, che prevedeva analisi fisico chimiche e imaging digitale.

In questo modo si è potuto capire cosa pensava l’autore, come ha adattato e sistemato gli elementi della composizione; si sono potuti seguire i suoi pensieri mentre disegnava e dipingeva e anche dopo, mentre la voleva nascondere durante il suo esilio a Bruxelles. Qui infatti aveva trovato asilo e per questo ha lasciato in eredità a questa città quella che è senz’altro una delle sue opere più famose.

Lo studio è stato poi ripetuto anche su una serie di versioni e repliche sia dell’atelier che di altri copisti, a partire dalla replica del Louvre, per capire se ci fossero stati dipinti preparatori ed in generale quali fossero le relazioni tra i vari dipinti.

Tra le indagini più rivelatrici c’è stata senz’altro la riflettografia infrarossa. Qui si vede come la faccia di Marat sia una combinazione del disegno fatto da David del suo amico sul letto di morte e della sua maschera mortuaria. Il viso rispetto al disegno è stato ruotato di 100 gradi e questo ha comportato dei cambiamenti nelle ombre, è stato inoltre aumentato il volume del turbante per rendere plausibile che la testa posasse su qualcosa, ed ingentilito il dismorfismo facciale di cui soffriva Marat, mentre questo è evidente nel disegno preparatorio visibile in IR.

Altro dettaglio interessante che emerge dalla riflettografia e dalla radiografia è che probabilmente Marat teneva inizialmente nella mano destra un pezzo di carta accartocciato e non una penna, che invece era prevista nella mano sinistra (anche se non ci risulta che fosse mancino). Questi cambiamenti si spiegano con l’intento di dare più forza al messaggio politico.

Negli anni successivi però lo scenario politico cambia e David deve velocemente ritirarsi in esilio.

Alcuni autori avevano sostenuto che, nel tentativo di proteggere le sue opere dalla distruzione, David avesse nascosto il dipinto verniciandolo di bianco. All’analisi della superficie al microscopio si è  visto però che non è stato così, non ci sono infatti da nessuna parte residui di pittura bianca, mentre si è scoperto la presenza di fibre su tutta la superficie del dipinto, dalla quale scaturisce un’altra ipotesi: che David per nasconderla abbia fissato la tela sui bordi interni del telaio (come confermato dalla presenza di molti fori sui quattro lati della tela), abbia poi tagliato l’eccedenza della tela che arrivava sul dietro e abbia poi montato sul telaio una nuova tela intonsa. In questo modo la tela dipinta è rimasta per molto tempo nascosta dietro una tela bianca, che appariva pronta per essere utilizzata, nello studio di Antonie Gros.

La verità sul nascondiglio della tela è dunque emersa. Il giudizio su Marat e sulle rivoluzioni sarà invece sempre opinabile.

La mostra è aperta dal 28 Aprile – 7 Agosto 2022.

Anna Pelagotti