“Era uno di quei tanti collezionisti di enormi mezzi, accortissimi nella gestione delle loroimprese finanziarie o commerciali, che mai e poi mai si sarebbero arrischiati a comprare un brillante da appena venti milioni da altri che da Bulgari o Cartier, e che invece, quando si trattava di spendere somme ben più rilevanti per dei quadri, si fidavano solo di sé stessi, del proprio occhio niente affatto educato ma, a loro parere, infallibile.”
Federico Zeri uno degli storici dell’arte italiani più conosciuti nel mondo (anche per essersi dimesso dal Consiglio di Amministrazione del Getty di Malibu’ in seguito all’acquisizione di un Kouros in seguito dimostratosi falso), instancabile ricercatore e esimio divulgatore, che ha lasciato alla sua morte nel 1998 una gigantesca fototeca all’Università di Bologna, si è addentrato più volte sul tema del falso nel mercato dell’arte.
Ma è forse nel romanzo giallo, ambientato nella Roma bene, e pubblicato appena prima della sua scomparsa “F. Zeri-Carmen Iarrera, Mai con i quadri. Romanzo, Milano, Longanesi, 1997”) che si lascia andare ad una confessione senza peli sulla lingua: collezionisti ricchi ma arroganti, mercanti senza scrupoli e professori conniventi, grazie ad un mercato senza regole e senza controllo, dove pure ci sono transizioni per milioni. Ma anche analisi che non perdonano… per chi si affida a professionisti seri.
Ecco qua ancora qualche estratto sfacciatamente impudente, per chi sa già e per chi ancora sogna…
Per questo, fidandosi del proprio fiuto (e dell’antiquario che riusciva ad entrare nelle loro grazie), sganciavano senza battere ciglio, rarissimamente chiedendo il parere di un esperto, somme astronomiche, così, sull’unghia, soddisfatti di aver messo le mani su una crosta qualsiasi che consideravano qualcosa di unico, raro, prezioso.
Soddisfattissimi poi se gli si dava ad intendere che il quadro era stato custodito da secoli presso una famiglia di antico lignaggio che lo cedeva a metà del suo valoro solo perché’ pressata da spiacevoli, contingenti, ineluttabili necessità finanziarie.
Vecchia tecnica, quella di “appoggiare” un quadro. Bastava trovarne uno adatto, farlo restaurare se ce n’era il bisogno, trovare un esperto che l’attribuisse ad un pittore più o meno illustre e avere la complicità di qualche nobile decaduto che, dietro percentuale, giurasse che quel quadro proveniva dall’antica, famosa raccolta del nonno o che era stato rinvenuto per caso, dopo decenni di oblio, in una sua vecchia dimora gentilizia di campagna.
(…)
Il falso ex novo oggi è molto difficile. Nei quadri, intendo dire, perché per esempio nelle sculture è facile. Basta fondere delle monete antiche per fare un bel frammento greco o romano il cui bronzo, naturalmente, risulterà antico a tutte le analisi. Oppure si prende un busto di marmo di buona fattura, si salva il viso e si scalpella bene il drappeggio, copiando per esempio lo stile dei drappeggi di Donatello e lo si attribuisce a lui o alla sua scuola. Solo un occhio estremamente esperto, a quel punto, potrebbe stabilire che la scultura è stata manipolata. Per la pittura no. Per la pittura è diverso perché’ le lampade al quarzo o i raggi infrarossi non perdonano.
“Quindi non si può imbrogliare”?
(…) “Chi vuol imbrogliare imbroglia lo stesso. Prende un quadro sciupato, a volte anche una crosta e lo corregge per farlo apparire di un altro autore. Oppure lo manipola.
(…)
Le faccio un esempio. Esiste una scuola di Siviglia. Sono tutte nature morte, dipinte su quadri orizzontali oblunghi. In genere rappresentano tavolini con tre gruppi di oggetti. Un cesto di frutta, che so, dei pani, delle mele cotogne.
Se abbiamo un mercante disonesto questo prende il quadro, lo taglia in tre pezzi, prende il cesto con le pesche e lo spaccia per una natura morta italiana, meglio lombarda, per esempio di Fede Galizai o di Panfilo Nuvoloni, e ci guadagna un sacco di soldi”.
“E non si vede?”
“Certo che si vede, basterebbe andare a guardare i margini per scoprire che la tela è tagliata ma chi lo fa?”
“Gli esperti”
“Buoni quelli. Cioè naturalmente ci sono quelli onesti e competenti, ma ci sono anche i cosiddetti esperti che non sono né questo né quello.
(..)
La maggior parte dei cosiddetti esperti lavora in combutta con gli antiquari e promuove delle vere e proprie patacche attribuendole a questo e quello e fa delle perizie piene di lacune dove ad esempio non specifica mai, e per mai intendo mai, lo stato di conservazione dell’oggetto”.
(…)
“E non c’è un controllo?”“No. Perché’ non c’è un albo. E chi fa una perizia praticamente non ne risponde. Al peggio dice che si è sbagliato. Ne va del suo prestigio, ma in galera non ci finisce. Basterebbe fare una legge in cui si stabilisca che chi ha fatto una perizia risponde della metà del valoro che ha attribuito all’oggetto e allora sì che ci andrebbero cauti. Invece così come stanno le cose chiunque si può mettere lì e scrivere che una crosta è un capolavoro. Ci sono certi professori universitari che non negano una perizia e nessuno, e il più delle volte non ci pagano nemmeno le tasse”