A palazzo Pitti, nelle bellissime sale del Museo degli Argenti, è stata da poco inaugurata una mostra che segna il punto degli studi degli ultimi decenni su una figura determinante nel nascente Ducato di Firenze nella prima metà del Cinquecento. E questa figura è eccezionalmente una donna, Donna Leonor Álvarez de Toledo, spagnola, figlia del viceré di Napoli don Pedro, che nel 1539 sposò il nuovo duca di Firenze, Cosimo.

Eleonora è passata negli anni da essere semplicemente “la moglie di” a una figura a tutto tondo, una duchessa decisamente nuova, soprattutto nel panorama fiorentino dell’epoca ma non solo. Emancipata, autonoma anche economicamente (era infatti assai più ricca del marito), colta, gestiva i suoi beni, si curava dei figli. Il duca insolitamente le delegava molte questioni familiari, dall’acquisto dei terreni alla riscossione dei denari e alla stipula dei contratti. Eleonora aveva autonomia d’azione, cosa rara per l’epoca, anche se sempre consultando il marito. Partecipò a quasi ogni aspetto della vita politica e culturale del ducato, e determinò le sorti non solo dei propri figli ma anche del futuro dello stato.
Il suo matrimonio con Cosimo, anche se era stato puramente politico e dinastico, fu una vera storia d’amore, che vide la nascita di ben 11 figli, ma soprattutto un rapporto di fiducia e di scambio col marito, che non esitò a lasciarla reggente dello stato in sua assenza per ben tre volte. Non passò giorno in cui Cosimo fosse lontano da Firenze che non le scrivesse una lettera. E anche da corte scrivevano a Cosimo di tornare quando era fuori, perché pare che la moglie desse in escandescenze per la mancanza del marito!
La mostra, attraverso più di cento opere di pittura, scultura, oreficeria, disegni, arazzi e abiti, ripercorre tutta la parabola della sua intensa ma tutto sommato breve vita, visto che morì a Pisa a soli 40 anni, nel 1562, per la malaria contratta sulla costa toscana.
Uno degli aspetti più nuovi che emergono dalla mostra è il suo ruolo di amministratrice oculata dei propri beni personali e di quelli della famiglia Medici. Grazie a funzionari illuminati e fedeli come Luca Martini provveditore ai fossi, bonificò vaste aree di terra nel pisano, che poi mise a frutto con la coltivazione del grano, diventando pressoché l’unica fornitrice di tale preziosa merce per la città di Firenze. Lo stesso fece con i possedimenti medicei, nei quali promosse le colture agricole in apparente autonomia dal marito, tanto che alla sua morte Cosimo come prima cosa fece fare un inventario completo dei suoi beni, segno evidente che fino a quel momento non se ne era interessato.
Lo stesso fece negli Orti dei Pitti, il vero oggetto del suo acquisto. Infatti fu quella la parte che le interessava dei possedimenti dei Pitti oltrarno, il palazzo era quasi un accessorio a quel colle verde nel quale impiantò un giardino, che prima ancora di essere tale era una vera e propria azienda agricola. Infatti le prime piante che vi fece impiantare furono grano e viti, in special modo quelle del moscato, con le quali produceva il vino moscatello in piccole botti. L’acquisto (fatto con i suoi soldi) e soprattutto la trasformazione che fece di quel complesso è sicuramente l’eredità più importante che Eleonora ha lasciato, non solo a Firenze, ma a tutta l’Europa, perché lì nasce il primo vero grande giardino all’italiana e lì nasce il modello di reggia con giardino come architettura domestica del potere. Ecco, la corte. Quella fiorentina è stata tra Cinque e Settecento una delle corti più eleganti, colte, ricche e belle dell’intero continente, e tutto ha origine con lei. I Medici avevano continuato a vivere, nonostante tutto, con una parvenza di morigeratezza e spirito repubblicano. Con Eleonora cambia tutto, si forma la corte, con tutti i personaggi e le cerimonie necessarie. E lei era l’unica a poterlo fare, visto che la madre, Donna Maria Osorio y Pimental, orfana a 7 anni, era stata accolta alla corte di Spagna da Isabella di Castiglia, e lì aveva appreso tutte le regole che trasmise ai suoi figli. È Eleonora a introdurre in casa Medici le dame di compagnia, i poeti e le poetesse, una cantante di corte, i nani, il sarto e i tessitori che operavano solo per lei e per la sua famiglia

Il sarto e la moda, altro elemento centrale anche nella mostra. Il sarto si chiamava Agostino da Gubbio, era stipendiato dalla corte e provvedeva alla realizzazione di tutti gli abiti necessari, non solo quelli di Eleonora, ma anche quelli di Cosimo, dei figli, delle dame di compagnia e di altre figure che vivevano con la famiglia ducale, come i nani Morgante e Barbino. Eleonora seppe intelligentemente integrare nella moda fiorentina alcuni elementi di quella spagnola, asburgica e perfino turca, e delineò lo stile suo e della corte. La zimarra con alamari che porta nel ritratto fatto da Bronzino nel 1550 e conservato a Pisa ha proprio un’origine ottomana. In mostra spicca un bellissimo abito in velluto rosso del 1560 proveniente da Pisa, realizzato probabilmente proprio da Agostino da Gubbio per una damigella che accompagnò Eleonora nel suo ingresso trionfale a Roma.
Eleonora prese parte a molti dei progetti di Cosimo, come alla fondazione dell’Arazzeria medicea, una delle più splendide dell’epoca, proprio lei che aveva avuto come padre don Pedro che alla sua morte possedeva più di 80 arazzi! Ma partecipò anche alla nascita della stamperia ducale fondata da Lorenzo Torrentino nel 1547. Eleonora aveva incaricato personalmente Benedetto Varchi nel 1546 di tradurre in volgare il De Beneficis di Seneca, pubblicato poi nel 1554 con la dedica a lei. Infatti la duchessa partecipò anche alla vita dell’Accademia, non solo grazie al suo rapporto col Varchi, ma anche con la protezione offerta a due poetesse, Tullia d’Aragona e soprattutto Laura Battiferri. Queste due poetesse dedicarono le proprie raccolte di poesie alla loro protettrice, e si tratta probabilmente della prima volta che una donna dedica la sua opera ad un’altra donna.

Fu anche importante committente artistica, scegliendo lei Bronzino come pittore di corte e affidando a lui i propri ritratti e quelli dei figli, inaugurando tra l’altro il genere del ritratto isolato di bambino a Firenze. In mostra si trova naturalmente anche il suo famosissimo ritratto col figlio Giovanni, ora agli Uffizi, una vera icona della ritrattistica dell’epoca, che lei concepiva come straordinario mezzo per veicolare l’importanza, la ricchezza e il lusso della corte fiorentina. Quel ritratto diventerà il prototipo del ritratto di una regnante con figlio in tutta Europa. Era lei a ordinare a Bronzino e alla sua bottega innumerevoli copie di quei ritratti che poi inviava nelle corti di tutta Europa, dando anche un contributo fondamentale a quell’industria del lusso che contraddistingueva Fiorenza.
Fu anche impegnata come devota cristiana, e a lei si deve l’arrivo dei Gesuiti a Firenze, che ebbero in lei la propria patrona e che a lei si rivolgevano, addirittura scavalcando Cosimo. Quando morì, Eleonora nel suo testamento lasciò all’ordine di Sant’Ignazio di Loyola un beneficio annuo di 200 scudi. Ma soprattutto potremmo dire che ai Gesuiti lasciò una coppia di benefattori che proseguirono la sua opera. Infatti la poetessa Laura Battiferri, con suo marito, lo scultore e architetto Bartolomeo Ammannati, proseguirono la sua opera di benefattori del nuovo ordine, arrivando per fino a ricostruire completamente a proprie spese la chiesa di San Giovannino posta accanto al loro convento. In quella chiesa, la coppia si riservò una cappella per la sepoltura, per la quale ordinarono a Alessandro Allori una grande pala d’altare, presente in mostra. La grande tela, ridotta in condizioni miserevoli, è stata anni fa completamente restaurata e restituita a una perfetta leggibilità, permettendo di riconoscere nella figura di anziana inginocchiata sulla destra della tela la devota Laura e sopra di lei in piedi il marito Bartolomeo. Alle analisi diagnostiche per questo complesso restauro ha contributo Art-Test, con una riflettografia a scansione che ha evidenziato il disegno preparatorio ed alcuni pentimenti, ad esempio nella posizione delle mani del Cristo.
Una mostra dunque complessa e ricca, con un catalogo di fondamentale importanza, che ribadisce e conferma decisamente il ruolo non comune avuto dalla spagnola Leonor Álvarez de Toledo.
