Art-dealer o Art-adviser?

Giu 20, 2023

Un giorno il cinema ve lo spiegherà…

In un settore senza regole, la consulenza artistica è funestata da controversie legali.

Benvenuti in un mondo, dove l’ignoranza è regina e la fiducia truccata a colpi di milioni di dollari.

Non è il cinema, però ci siamo vicini.  Per dare un’idea delle trame, siamo  tra The Wolf of Wall Street, Ocean’s Eleven, e il Pirata dei Caraibi. Ogni giorno, e nei miei sogni lavorativi, penso che avrei dovuto fare l’assistente-regista per Martin Scorsese.  Avrei potuto raccontargli storie incredibili del mondo dell’arte, avrei giusto chiesto una percentuale sul box-office, oltre a qualcosa di decente per il mio lavoro quotidiano di scrittura e ricerca artistica tra gli uffici di  Los Angeles e New York. Avrei potuto così girare per il mondo dell’arte come una spia che ascolta e che osserva, non solo la bellezza della libertà di creare e pensare, l’emozione della scoperta di nuovi artisti, ma anche e soprattutto il punto di vista giuridico: rispettare l’Artista e il collezionista è davvero possibile?

Definitivamente, in un’economia di mercato, la libertà non appartiene all’artista ma a chi che sa vendersi bene, professionista dall’immagine perfetta,  con un portafoglio di contatti (artisti, eredi e clienti ) da far arrossire Hollywood e Wall Street, anche senza capirne bene il perché e il percome. 

L’informazione fornita deve essere discreta e la transazione veloce perché nel mondo della finanza « time is money », anche se questo fa perdere alla fine il controllo della situazione.

Le opere d’arte, antiche come quelle contemporanee paiono silenziose ma capricciose. Tutto può cambiare di maniera imprevista:  il loro aspetto estetico per un problema di conservazione, il loro valore per l’effetto della moda e del mercato, ma anche per autenticazione errate perché si pensava che una diagnostica scientifica facesse perdere troppo tempo a chi vuole investire…

Ecco perché il « time is money » con le opere d’arte è una massima da riconsiderare.

Quante volte avete letto che i consulenti d’arte sono stati coinvolti in problemi con i loro clienti? E direi che la sfera pubblica ne conosce solo lo 0, 5 %.

Nel 2015, uno dei più famosi Art-adviser tedeschi, Helge Achenbach, è finito in carcere dopo aver ammesso di aver frodato per almeno 18 milioni di euro.

Tra i suoi ricchissimi clienti c’erano l’erede del supermercato Aldi, Berthold Albrecht, e l’imprenditore farmaceutico Christian Boehringer. Helge Achenbach ha ammesso in tribunale  di aver aggiunto ulteriori ricarichi al costo delle opere d’arte  acquistate per i suoi clienti.

Un’altra Art-dealer, Angela Gulbenkian,  si è dichiarata colpevole in un tribunale di Londra per aver frodato un cliente durante la vendita di una scultura di Yayoi Kusama del valore di 1,1 milioni di sterline.

Ma l’ultima notizia ad oggi tocca una delle più importanti consulenti d’arte del settore, Lisa Schiff, americana, specialista in arte contemporanea e moderna, fondatrice e presidente di SFA Advisory (Schiff Fine Art). I suoi clienti includono aziende, fondazioni e istituzioni, e anche Leonardo Di Caprio.  Lisa Schiff è ora oggetto di due cause legali esplosive intentate da ex clienti. Le accuse sono di violazione del contratto, frode e cospirazione, si sostiene che nel suo ruolo di consulente abbia sottratto ai clienti milioni di dollari. Le accuse  dell’ erede immobiliare Candace Barasch e dall’avvocato Richard Grossman  sostengono che Schiff debba loro $ 1,8 milioni per un dipinto dell’artista Adrian Ghenie. La Schiff aveva anche mediato accordi con più clienti per opere di artisti come Wangechi Mutu, Sarah Lucas e Chloe Wise.

Presumibilmente ha acquistato l’opera per loro conto, ma non ha mai dichiarato e condiviso l’intero profitto quando è stata rivenduta.

Una truffa che sembrerebbe comune nel mondo del commercio, ma i valori in gioco sono molto più alti quando si tratta d’opere d’arte.

Harry Smith, presidente della società di consulenza Gurr Johns di Londra e New York ha affermato:

« È un vero e proprio Far-West là fuori, a causa dell’opacità del mercato dell’arte, il cliente potrebbe non conoscere il vero prezzo dell’opera d’arte che è invitato ad acquistare. La possibilità di perdere denaro è maggiore nel mondo dell’arte che praticamente in qualsiasi altro campo, con la possibile eccezione delle corse di cavalli ».

Molti collezionisti assumono consulenti sia per conoscere tutto ciò che è disponibile – lasciando che loro viaggino per il mondo a biennali, fiere ed esposizioni quando spesso il cliente è troppo impegnato per farlo – sia per accedere alle opere più ambite. Un consulente aiuta anche con la cura, lo stoccaggio, l’assicurazione e l’inventario, oltre ad stimolare il cliente a concentrarsi su come modellare la collezione; possono rivendere per conto del cliente, sebbene ciò comporti naturalmente rischi di conflitto di interessi.

La verità è che si tratta di una professione senza regolamentazione e senza vera formazione perché anche con un percorso universitario impeccabile, in un settore (sopratutto sul mercato dell’arte) dove è consolidata l’immagine di un mondo intoccabile e chiuso, solo chi è già introdotto  o è un bravo attore e riesce ad essere presente nelle serate giuste, e a muoversi come un delicatissimo squalo, riesce a cacciare il pesce grosso. L’etiquette  è molto presente. Solo l’arte contemporanea dà una leggera apertura…ma senza conoscere le regole e senza far già parte del gioco, è molto facile perdersi, o avere il ruolo del pesce piccolo.

Pochi sono scelti per il loro lavoro, per la conoscenza nella materia, per una vera esperienza e  sopratutto per il rispetto dell’artista (prodotto e proprietà intellettuale sui quali, ricordiamo, si basa il mercato, ovvero le transazioni).

Negli Stati Uniti esiste l’Association of Professional Art Advisors, con un codice etico e severi requisiti di ammissione. Tuttavia è un caso raro, pochi paesi hanno una tale associazione, quindi spetta al cliente individuare possibili segnali di allarme quando cerca un consulente. Il consiglio dell’Association of Professional Art Advisors è “Stai lontano da chiunque prometta grandi guadagni, controlla la reputazione della persona: parecchi cosiddetti consiglieri non durano molto a lungo – vanno fuori dai binari”. Le storie recenti, purtroppo, sembrano confermarlo.

Champagne o Prosecco?

Questa mancanza di trasparenza si ritrova, del resto, anche nella terminologia usata per le professioni.

E quindi per concludere mi permetto di chiarire cosa si intenda con alcuni termini che attualmente sono prevalentemente inglesi (perché il mondo ha deciso che per parlare finanza la lingua inglese sia più comoda e chic).

Un art-dealer è un intermediario o piuttosto mediatore che reperisce sul mercato delle opere d’arte e che propone transizioni che coinvolgono due parti (una che cede e l’altra che acquista) con un percentuale della transizione che gli (o le) spetta per il lavoro di intermediazione, come concordato tra le parti.

Invece l’art-advisor consiglia i collezionisti su come gestire una collezione… (la gestione dell’investimento,  il marketing, la tutela e la ricerca etc).

(E magari vi ho già perso sulle differenze fra  consiglio di acquisto e consiglio di stile!)

La parola giusta in italiano, quella che viene usata nel campo dell’economia, sarebbe intermediario  o anche, in inglese, broker per evitare la confusione e il « flou artistique ».  La lingua italiana ha usato un termine generico e logico per definire queste professioni di consulenza economica e artistica.

Mentre i francesi usano una parola storica per definire questo ruolo d’intermediario, quasi sparito per l’uso  generico e globalizzato di « art-dealer » ovvero la parola « courtier ».

L’attività di courtier  (o broker)  è riconosciuta dall’Accademia di Francia dal 1694.

Secondo il diritto francese, il « courtier » è il professionista che svolge l’attività di intermediazione. La sua azione consiste nel fungere da intermediario per una transazione tra un venditore e un acquirente, dal quale è sempre indipendente. La transazione può riguardare qualsiasi acquisto o vendita di beni o fornitura di servizi.

Una delle prime documentazioni scritte in francese del suo utilizzo risale al 1248: il Cartulario di Ponthieu evoca le attività di “courratage” a cui dovevano ricorrere le corporazioni di artigiani per tutelarsi. È dal 1358 che la parola diventa anche “couratage”, “courtage”, le forme della parola declinate in coul- coultage sono spesso di origine fiamminga. La storia del diritto, del commercio e della navigazione si riferisce spesso a mediatori di vino, oli, grano, cavalli, sete, ecc.

La professione di broker esiste in molti ambiti e molti altri paesi, ed è regolamentata in modo diverso, per proteggere i partecipanti al mercato in questione, ma nell’arte  non si capisce bene il confine.

Io comunque continuerò ad usare la parola antica francese « courtier » e anche « courtière »  al femminile.  Non perché sono francese, ma perché per lavorare nell’arte preferisco usare una parola diplomatica, coerente, storica che evochi la poesia dei primi scambi e le trattative commerciali fatte attraversando mari e oceani…

Marine Butera