Dalla volontà di contrastare lo scempio del patrimonio artistico italiano, al sottosegretario accusato di contraffazione e riciclaggio
Nasceva il 14 dicembre 1974, con provvedimento di urgenza, per volontà di Aldo Moro, che guidava il governo, il “Ministero per i beni culturali e ambientali”. Ed il primo ad essere nominato alla guida del nascente dicastero fu Il fiorentino Giovanni Spadolini.
Le sovrintendenze esistevano già, più o meno nella forma che conosciamo, ma le competenze erano divise tra vari ministeri: il Ministero della Pubblica Istruzione (Antichità e Belle Arti, Accademie e Biblioteche), il Ministero degli Interni (Archivi di Stato) e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Discoteca di Stato, editoria libraria e diffusione della cultura).
Ma, soprattutto, la situazione dei beni culturali in Italia era disastrosa. Mancava tutto: dai sistemi d’allarme e antincendi nei musei, al personale, che, se c’era, era ottenuto in larga parte grazie agli invalidi.
E in questo scenario naturalmente imperversavano i furti. Opere e reperti erano facilmente trafugati, scavi e pievi di campagna saccheggiate.
Per capire quanti reati venivano commessi, basti pensare che in soli 3 mesi, da maggio a luglio nel 1974 erano state rubate moltissime opere di primo piano. A maggio era sparito dal Museo Baroffio del Santuario del Sacro Monte sopra Varese, un Leonardo, insieme a quattro dipinti di scuola fiamminga del XVII secolo e a un disegno rinascimentale. Il disegno leonardesco, a sanguigna, mai ritrovato, era considerato il disegno preparatorio per il “San Giovanni Battista con gli attributi di Bacco” oggi al Louvre.
Pochi giorni dopo, nella notte tra il 6 e 7 giugno 1974, undici importanti opere erano state sottratte nella Pinacoteca Civica della Villa Reale di Monza. Di queste solo una è ricomparsa recentemente, in vendita in una casa d’aste.
Appena un mese dopo, tra il 23 e il 24 luglio 1974 insieme ad altre 7 opere sparisce un “Ecce Homo” di Antonello da Messina dal Museo Broletto di Novara dove veniva tenuto senza impianto d’allarme (costava troppo), assicurato dal Comune per una cifra ridicola.
Prima del decreto che renderà pienamente operativo il ministero il 3 dicembre 1975, il 5 febbraio un altro spettacolare furto: approfittando dei ponteggi collocati al fianco del palazzo, i ladri trafugano dalla Galleria Nazionale di Urbino tre opere importantissime: la Madonna di Senigallia e la Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, insieme al ritratto di una nobildonna, conosciuto come La Muta, di Raffaello.
Sempre nel 1974 dalla Germania era poi stato considerato scaduto l’accordo fra De Gasperi e Adenauer (due dei padri del progetto europeo), per recuperare e restituire le opere scomparse dopo la seconda guerra mondiale.
Mentre mancavano ancora molte delle tante opere d’arte italiane depredate dai tedeschi, parecchie verosimilmente finite in Russia e lì scomparse. I russi infatti considerano le opere d’arte prese ai tedeschi una compensazione per i danni di guerra.
Il repertorio del patrimonio artistico italiano disperso all’epoca della Seconda guerra mondiale era semplicemente sterminato. Da una piccola tempera di Pietro Lorenzetti, rubata dai nazisti a Perugia, al Tribunale della Mercanzia di Simone Martini, scomparso da Siena nel 1944, fino al Ritratto di giovane ignoto di Botticelli, prelevato dai soldati tedeschi dalla napoletana Villa San Paolo di Belsito prima di incendiarla, a quadri e disegni del Parmigianino, Mantegna, Lorenzo Di Credi, Jacopo Bassano, Bronzino, Tintoretto, Vasari, Raffaello, Canaletto, fino a Michelangiolo, la cui Testa di Fauno fu trafugata nel 1944 dalla 305ª divisione di fanteria dell’esercito nazista dal castello dei Pioppi dei conti Guidi, ad Arezzo. Senza contare le antichità greche, romane, etrusche sottratte o distrutte.
Insomma cinquanta anni fa il Ministero nasce con l’urgenza di porre fine all’emorragia di arte dal nostro paese, in un momento topico, che imponeva una risposta dello Stato. E che lo Stato dà.
Ha funzionato? Cinquanta anni dopo il Ministero si è dotato di una struttura capillare che copre molteplici aspetti legati alla conservazione e alla valorizzazione del nostro patrimonio. I furti non sono finiti, ma c’è sicuramente più attenzione e ci sono più strumenti in dotazione a chi custodisce opere di valore. Anche nel campo delle restituzioni si sono fatti grossi passi avanti.
Si legga tutto quello che viene pubblicato sul Journal of Cultural Heritage Crime.
Certo che probabilmente Moro e Spadolini si saranno rigirati nella tomba nel vedere che un sottosegretario alla cultura, Vittorio Sgarbi, è stato accusato, e a quanto pare con buone ragioni, di contraffazione di opere d’arte, riciclaggio derivante dal tentativo di nascondere la provenienza delittuosa del bene e autoriciclaggio.
Sono accuse legate al caso del dipinto del Seicento senese, di Rutilio Manetti, che comportano il rischio di una condanna fino a 12 anni di carcere. Al centro della vicenda una tela di grandi dimensioni, “La Cattura di San Pietro”, secondo l’accusa rubata nel castello di Buriasco (Torino) nel febbraio 2013, e riapparsa nel 2021, come inedito di Manetti e di proprietà di Sgarbi.
Il soggetto del dipinto sparito è identico a quello ricomparso, salvo un dettaglio che le analisi scientifiche pare abbiano facilmente identificato come ritocco recente. Altre analisi scientifiche sulla tela pare provino la totale compatibilità tra la tela dell’opera ora proprietà di Sgarbi e quella rimasta a Buriasco, e anche la compatibilità di certi danni subiti dalla tela riapparsa con un trasporto di fortuna, per esempio arrotolata dentro un tappeto.
Pare che Sgarbi si sia così rivolto ai giornalisti che chiedevano della faccenda; “L’ho trovato così il quadro – ci urlava – dovete fare l’analisi del vostro buco del culo e troverete la merda che avete, mettetevela in bocca. Capre!”
Chissà cosa avrebbe detto Spadolini.