Il disastro causato dal forte maltempo in Emilia Romagna poteva succedere ovunque. E noi non siamo pronti.

Mag 20, 2023 | Patrimonio Culturale, Restauro

Anna Pelagotti
Anna Pelagotti

Il maltempo che ha causato allagamenti, esondazioni e frane in Emilia Romagna non era né imprevedibile né imprevisto. Che il riscaldamento globale dovuto ai gas serra emessi dai combustibili fossili avrebbe causato eventi estremi è un fenomeno conosciuto e studiato da anni.

Un po’ c’entra ovviamente anche il consumo eccessivo del suolo, un po’ la regimentazione delle acque. Ma naturalmente quello di cui è fondamentale essere consapevoli è che la crisi è in pieno atto e nessuno è al sicuro. Tanto meno il nostro patrimonio culturale.

Già nel 1994 fu convocata una Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla riduzione del rischio di catastrofi, che riuniva funzionari governativi e altri specialisti, per discutere le misure di preparazione, risposta e mitigazione per far fronte alla crescente incidenza dei disastri naturali. Da allora si sono tenuti altri due convegni UNESCO.

Da diversi anni la Commissione Europa ha stanziato decine di milioni di euro su “Climate action, Environment, Resource Efficiency and Raw Materials”, con un topic specifico nel 2015 per “Mitigating the impacts of climate change and natural hazards on cultural heritage sites, structures and artefacts”, finanziando una serie di progetti che studiano l’impatto del cambiamento climatico e cosa fare per mitigarne gli effetti.

Tra i risultati acquisiti c’è l’evidente bisogno di dotarsi di una strategia di monitoraggio e di messa in sicurezza. Una serie di raccomandazioni sulle decisioni da prendere nelle emergenze. Una serie di dotazioni per ogni museo che permettano di “impacchettare” le opere velocemente, un piano su dove ricoverarle.

E di passare dalla teoria alla pratica. Invece siamo ancora ai piani straordinari, come Piano Straordinario di Monitoraggio e Conservazione dei Beni Culturali Immobili – DIREZIONE GENERALE SICUREZZA DEL PATRIMONIO CULTURALE per cui erano stanziati 20 milioni di euro (10 milioni per  ciascuno degli anni 2019 e 2020) di cui non si capisce lo stato di attuazione.

Il danneggiamento del nostro patrimonio culturale ha cause innaturali e come abbiamo visto, nessuna reale misura per prevenire e mitigare è ancora disponibile, né in Emilia Romagna, né, pare, altrove. E questa è una decisione politica.

Cosa altro deve succedere perché cambi qualcosa? Quale altra regione vogliamo vedere sott’acqua? Il Piemonte che è stato recentemente interessato da una siccità con pochi precedenti? Firenze? Venezia? Roma, dove tanto patrimonio si trova al di sotto del livello del suolo? Secondo la Carta Nazionale del Rischio aggiornata dal Ministero della Cultura con dati ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), ad esempio la ragione a maggior rischio di frane è la Campania, mentre quella con maggior rischio di alluvioni insieme all’Emilia Romangna, è la Toscana.

Nel documento “Metodologia di elaborazione dati su beni culturali, frane e alluvioni” di Carla Iadanza dell’ ISPRA – si dice che in Italia avvengono i 2/3 delle frane europee. E la situazione non è destinata a miglioare.

Ci sono circa il 18,6% dei nostri Beni Culturali architettonici, monumentali e archeologici a rischio frane, di cui 11.712 (5,8%) in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata. Mentre ci sono ancora più beni culturali a rischio in aree a pericolosità idraulica. Di cui quasi 14.000 sono in aree a pericolosità elevata.

Non c’è evidentemente altro tempo da perdere. Non c’è più niente di straordinario.