La Repubblica dovrebbe tutelare lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. E invece no.

Emanuela Massa
Emanuela Massa

L’articolo 9 della nostra Costituzione, che quest’anno compie 75 anni, così recita:

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”.

Pensiamo che tale principio del nostro ordinamento sia stato, tra gli altri, l’input per cui ad esempio la Galleria Estense abbia deciso di progettare un nuovo catalogo dell’intera collezione, comprensivo delle opere in deposito.

Le schede redatte terranno conto di quanto fino ad ora pubblicato, saranno accompagnate da notizie sui restauri e da indagini diagnostiche. Il primo catalogo di questo genere! Le schede negli anni potrebbero anche subire modifiche nel caso in cui la ricerca documentale o diagnostica indichi di correggere i dati pregressi.

Tutti potranno consultarlo, vedere le immagini e studiarne le schede comodamente via web, sarà utilizzato un software open source realizzato dal Getty.

Ma questa notizia bellissima stride con quanto indicato nel D.M.num 161 dell’11/04/2023, Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna ad istituti e luoghi della cultura statali.

Un decreto ministeriale che sembra essere un netto dietro front rispetto alle Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale elaborate dallp stesso ministero ed in particolare dal’Istituto Centrale per la Digitalizzazione del Patrimonio Culturale come recepimento (obbligatorio per i membri dell’Unione Europea!) della direttiva europea 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale .

Il nuovo decreto prevede che anche le pubblicazioni scientifiche non potranno utilizzare immagini delle opere d’arte gratuitamente a titolo scientifico.

Ed ancora, questo decreto, oltre che contrario ai principi della direttiva europea, sembra ignorare totalmente i fini, ad esempio, a cui tendono i risultati di progetti d i ricerca in campo conservativo e artistico supportati da bandi con sovvenzione da fondi europei e nazionali la cui “conditio sine qua non” è la pubblicazione e diffusione dei risultati, quindi delle immagini. 

Ci chiediamo a questo punto se per un semplice cittadino, prima ancora che ricercatore e studioso, non sia una beffa. Immagini acquisite con denaro che in parte deriva dal contributo versato con i propri tributi, quindi già “pagato”, dovrà essere riacquistato per essere usufruito in una ricerca che dovrà essere resa disponibile al più vasto pubblico possibile per essere ritenuta compiuta.

E ci chiediamo “Cui Prodest?”

Ne avevamo parlato anche qui: Perchè il processo contro Ravensburger per l’utilizzo dell’immagine dell’Uomo Vitruviano è un grave errore – Art-Test

Altri commenti degli addetti ai lavori: Altro che “storica”: la sentenza sull’uso dell’immagine del David di Michelangelo è basata sul concetto “identità collettiva”. Un nulla giuridico – Archaeoreporter

Il (caro) prezzo da pagare per le immagini dei beni culturali

Cliccate qui per firmare la petizione Per la libera circolazione delle immagini del patrimonio culturale pubblico.


 [