La tecnica perduta della zaffera

Apr 20, 2021

Maioliche preziosissime, anche se misconosciute, dalle decorazioni a rilievo e dalla storia affascinante

Chi vuole fare grandi cose deve porre particolare attenzione ai dettagli”.

Così esordiva il poeta Paul Valéry, è quello che fecero i ceramisti toscani inventando le maioliche a “zaffera”.

Sono ceramiche ideate e prodotte solo in alcune aree specifiche della penisola italica e in un periodo di tempo molto ristretto ma dalla manifattura così elegante e particolare, da assicurare loro un successo immediato. In breve tempo sostituirono le maioliche precedenti sulle tavole delle più ricche magioni del XV secolo.

Caratterizzate dalla bicromia tra il fondo bianco perlaceo a base di smalto stannifero e il decoro blu intenso, pastoso e con riflessi vetrosiin rilievo rispetto al resto, parte del successo presso la clientela, probabilmente e’ dovuto al decoro del tutto inedito rispetto agli ornati delle altre maioliche sul mercato all’epoca. Si può infatti dire che, malgrado ad oggi siano quasi del tutto sconosciute ai più e poco presenti sul mercato, hanno avuto un importante impatto, non è infatti rara la loro presenza ad esempio in dipinti del periodo: Beato Angelico che le inserisce all’interno dei suoi grandi lavori e si impegna a dipingerle con grande cura ed attenzione nelle scene conviviali come in “San Domenico e i compagni”. Ma l’Angelico non è il solo: anche Bicci di Lorenzo inserisce queste particolari maioliche nelle sue tavole come nel caso del “Miracolo di San Nicola”.

Bicci di Lorenzo “Miracolo di San Nicola” 1433-1435

La Zaffera, affermatasi inizialmente nell’area fiorentina e senese si estese successivamente nell’alto Lazio, a Faenza e in Umbria. Tra tutte è la viterbese quella di maggior prestigio.

In genere i decori sulle Maioliche a Zaffara sono caratterizzate da una completa bidimensionalità, dove le sfumature sono completamente assenti, e una figura principale posta al centro, è circondata da eleganti decori. Raramente il soggetto principale è di tipo antropomorfo, i più gettonati sono cani ed uccelli, più di rado pesci. E’ invece più vasta la varietà dei decori che fanno da cornice: inserti vegetali e florealitralcilabellidenti di lupogoccioloni e foglie di quercia con ghiande e bacche.

In Toscana principalmente venivano realizzate maioliche dalla superficie completamente ornata, a Faenza invece le decorazioni venivano confinate all’interno di corone realizzate in bruno manganese o di smalto turchino, la zaffera viterbese è caratterizzata sempre da decori che si sviluppano su tutta la superficie ma molto più fini e meno fitti.

Esempi di maiolica di Faenza (a), maiolica viterbese (b) e maiolica toscana (c)

Gli oggetti più richiesti, da quello che si può evincere dai vari ritrovamenti, erano perlopiù tazze a corpo troncoconico e boccali con corpo ovoidale e bocca trilobata; la produzione di piatti e vassoi risulta meno intensa, ciò probabilmente è dovuto al fatto che il rilievo delle decorazioni e più apprezzabile se realizzato su superfici concave piuttosto che su superfici piane o convesse.

La breve durata di produzione è attribuibile a due fattori: l’alto costo del blu di cobalto necessario alle produzioni e la difficile tecnica di realizzazione che comportava la produzione di numerosi scarti caratterizzati da decori poco a rilievo e mal definiti.

Il pigmento blu veniva steso miscelato con una particolare creta sciolta detta barbottina sulla superficie precedentemente smaltata e cotta, la maiolica veniva poi sottoposta ad una seconda fase di cottura in cui il decoro si sarebbe rigonfiato mantenendo però il disegno di base. Quest’ultima complicata fase di produzione doveva essere realizzata in ambienti in cui non si sarebbero raggiunte temperature superiori ai 1000°C circa così da ovviare lo scioglimento e la conseguente inevitabile colatura dell’ossido di cobalto. Non avendo però un controllo così preciso delle temperature interne dei forni accadeva spesso di ottenere prodotti non vendibili e ben presto i costi di produzione superarono i guadagni.

Questo è probabilmente il motivo principale per cui se ne abbandonò la produzione dopo soli trent’anni ed venne sostituita dalla maiolica italo-moresca, sempre caratterizzata da una bicromia bianco-blu ma di realizzazione più immediata e sicuramente meno costosa.

Essendo così pochi gli oggetti realizzati, ad oggi anche ciò che allora veniva considerato scarto, ha gran valore.

Le caratteristiche citate precedentemente come le decorazioni in blu di cobalto dal rilievo accentuato su fondo bianco, il breve tempo di produzione e la difficile tecnica di esecuzione, risultano elementi sicuri su cui basare un’indagine diagnostica per accertarne l’autenticità.

Per quanto si è soliti pensare alla diagnostica perlopiù legata allo studio dei dipinti, questa è ulteriormente estendibile ad altre numerose tipologie di oggetti e anche nel caso delle ceramiche, permette di distinguere il vero dal falso e di attribuire la maiolica ad un determinato periodo ricorrendo a differenti tecniche di tipo non invasivo, invasivo, microdistruttivo ed elementale.

Nel caso specifico di una maiolica a zaffera basandosi su ciò che è stato precedentemente detto, sono principalmente cinque le tecniche a cui è consigliabile sottoporla per ottenere informazioni riguardo la sua manifattura, storia e composizione, come illustrato dai nostril post-it: