Uno straordinario successo di pubblico la conferenza “VERO-FALSO”, che, organizzata da Art&Dossier per Giunti, e Treccani a Firenze, nell’ambito di TourismA, su uno dei temi più dibattuti recentemente, ha visto la presenza di relatori di alto profilo.
Si è aperta con una presentazione da parte del direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, che ha voluto fin da subito sottolineare la differenza tra i falsari che operano per lucro e quelli che operano per vocazione.
Il discorso, come poi è stato detto in più modi durante la mattinata, è oggettivamente molto ampio ed in continua evoluzione. Il falsario è senza dubbio, almeno nella maggior parte dei casi, una persona dal profilo interessante, che conosce a fondo sia l’artista che l’opera che sta andando a ricreare. Chi crea il falso si ritiene uno dei maggiori conoscitori dell’artista falsificato, addirittura talvolta tra i pochi che sono riusciti a coglierne l’essenza. Per questo forse esercita sempre tanto fascino.
Estremamente interessante poi la considerazione che se prima il periodo preferito da riprodurre era quello rinascimentale, ora è quello moderno e contemporaneo, perché volendo citare Beltracchi, uno dei più famosi falsari, per ricreare un’opera dell’ultimo secolo occorre meno tempo, meno fatica e soprattutto si riesce a vendere molto più facilmente.
(Non sapete chi è Beltracchi? Leggete qui!)
Ma come riconoscere il falso dal vero? Sono stati quattro gli interventi che hanno cercato di rispondere a questa domanda.
Sandra Rossi direttore dei Settori di restauri Dipinti, Scultura lignea policroma e Materiali cartacei dell’OPD ha dedicato il suo intervento al restauro e alla diagnostica presentandoli come strumenti utili per un atto critico, per studiare l’opera in tutte le sue sfaccettature, permettendo nella maggior parte dei casi di poter affermare se l’opera oggetto di studio sia coerente o meno col periodo e l’artista indicati. Operazione che va tenuta distinta dall’attribuzione.
Rimane il fatto che non sempre il falso è però un qualcosa di nessun pregio: si pensi per esempio alla copia del ritratto di Leone X di Raffaello realizzato da Andrea del Sarto, Vasari racconta l’aneddoto affermando che dovettero fare un segno dietro alla tavola per distinguere l’originale dall’altro tanto erano simili e di ottima fattura entrambi.

Chiara Casarin invece, semiologa e storica dell’arte contemporanea ha sottolineato come, secondo lei, tra vero e falso si abbiano varie situazioni intermedie.
Partendo dal presupposto che si ha una prima differenziazione tra quelle opere dette autografiche, e cioè non riproducibili come è appunto la pittura, e quelle allografiche, come può essere per esempio la musica, ha raccontato due episodi che illustrano come non sia sempre semplice parlare di falso.
Nel primo caso ha fatto riferimento al progetto a cui ha preso parte, che ha permesso la realizzazione in bronzo in scala 1:100 del cavallo colossale di Canova di cui si aveva il gesso. In questo caso è corretto parlare di falso? Eppure in passato accadeva spesso che dopo la morte dell’ideatore, altri artisti, partendo dallo stampo in gesso, realizzassero in seguito la statua in bronzo!
Altro caso è quello delle Nozze di Cana di Veronese, opera tagliata in tre parti ed esposta al Louvre nella stessa sala della Gioconda. Grazie a tecnologie all’avanguardia si è ricreata in modo perfetto la tela, i colori e addirittura la corposità della pennellata; la “copia” è poi stata esposta nel luogo di origine. Allacciandosi a anche all’intervento tenuto da Laura Lombardi, docente di Fenomenologia delle Arti contemporanee dell’accademia di Brera, che aveva affermato che da un punto di vista filosofico, non è solo l’opera in sé ma anche l’aurea che crea se messa nel luogo per cui è stata pensata a determinarne l’autenticità, allora quale delle due opere ha maggiore autenticità: l’originale del Veronese, ormai completamente estrapolato dal contesto, o la copia perfettamente dettagliata esposta nel luogo d’origine? Rimane il fatto, secondo noi, che un originale non è solo l’immagine ma anche la materia, con la sua storia.
Lombardi ha portato come esempio anche il caso in cui Michelangelo creò un falso quando, dopo aver realizzato un cupido dormiente, dietro consiglio di Pierfrancesco dei Medici, lo sotterrò per poi portarlo a Roma e presentarlo come opera antica.
Questo è solo uno dei tanti casi in cui l’opera di per sé di valore e di pregio, diviene un falso nel momento in cui si decide di attribuirne la manifattura all’epoca romana (spoiler: il falso fu scoperto).
L’ esposizione si è conclusa proponendo un punto di incontro: tutto quello che non è fatto dall’artista è una copia, ma si parla di falso solo nel momento in cui questa copia viene presentata come “opera di”. E su questo siamo d’accordo.
Mauro Zanchi, critico d’arte e direttore del Museo temporaneo Baco, ha sottilineato di come anche col tempo siano cambiate l’attendibilità delle fonti. Si pensi per esempio alla fotografia: sappiamo bene, soprattutto ad oggi con l’avvento dei social, quanto queste oramai siano poco veritiere. Non dimentichiamo però, aggiungiamo noi diagnosti, che anche le falsificazioni delle fotografie si possono scoprire. Vi rimandiamo ad esempio al nostro articolo.
Decide poi di fare riferimento a Blade Runner facendo un parallelismo tra gli umani opera originale e i replicanti (che sono l’opera falsa), eppure questi hanno foto e dei ricordi rendendo quindi il loro riconoscimento molto difficile. Con questo ha voluto argomentare il fatto che se un falso ha alle spalle anche una storia, diviene ancora più difficile riuscire ad identificarlo come tale.
La mattinata si è poi conclusa con l’intervento di Jean Blanchaert che ha parlato di Philippe Daverio, collega ma soprattutto amico, mancato troppo presto, mostrando a noi spettatori una serie di fotografie che trasmettevano tanta complicità e semplicità, un qualcosa che dopo una conferenza dedicata ai falsi, ai falsari e ha particolarmente colpito proprio per la sua autenticità.
