La Terza Via per i Musei

Feb 16, 2021

Questo appena passato è stato un anno funesto, fatto di chiusure, crisi e cadute di governi, aperture a singhiozzo, insomma un disastro per lo stato di salute dell’arte, sempre più travolta dagli eventi. Il problema è che ancora non se ne vede la fine.

È stato del 75% il calo medio dei visitatori nei musei statali italiani nel 2020 rispetto al 2019. Dato che ha determinato un decremento degli incassi da 240 a 60 milioni di euro, come mette in evidenza l’Ufficio Statistico del Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e per il Turismo (MIBACT).

Come ben sappiamo, durante il lungo periodo di lockdown è stata spesso l’arte ad essere chiamata a confortarci, le istituzioni sono rimaste “aperte” offrendo ad ogni pubblico un’esperienza differente, in modo da tenere vivo e attivo l’interesse nei confronti del patrimonio artistico e culturale. Ogni istituzione l’ha fatto con i mezzi che aveva a disposizione, i propri, chi meglio e chi peggio. É evidente che non tutti sono stati in grado di affrontare questo caos, chi per mancanza di personale, chi per mancanza di strumentazione, o ancor peggio per assenza di una strategia di programmazione, progettazione, ideazione di contenuti. Ma che ci siano delle potenzialità è evidente.

A questo punto, perdurando lo stato di pandemia, i musei dovranno mettersi tutti in grado di lavorare in modo strutturato con il digitale. Ma se gli incassi non aumentano, quale puo’ essere il nuovo modello di business?

(E non si storca il naso a questa parola, un bilancio economico lo fanno anche i musei statali)

Per affrontare la sfida che questo cambiamento ci impone, non solo le istituzioni dovrebbero evolversi, dovrebbe farlo anche il pensiero generale: sarebbe fondamentale riuscire scindere i binomi cultura = volontariato, e cultura = gratis.

Non è infatti possibile concepire una ripartenza senza affidarla persone specificatamente preparate. Sono fondamentali al rilancio dell’idea stessa di museo. Infatti, uno dei fondamentali investimenti dovrà essere l’assunzione di figure formate e qualificate e non (solo) di tirocinanti che si improvvisano social media manager, fundraiser, assistenti alla vigilanza, segretari o addetti stampa.

Inoltre, e soprattutto, per liberarsi anche dell’associazione museo=luogo chiuso e ammuffito, che vive nell’immaginario di molti, il concetto di nuovo museo dovrà intrecciarsi con la comunità, essere un luogo di identità locale dove le persone possono incontrarsi e partecipare ad un evento, non solo luoghi dove si ammirano capolavori.

Ma naturalmente questo implica una rivoluzione, e ha un costo. Come affrontarlo?

I musei non se la passano bene neanche nel resto del mondo, dove sono spesso privati, e a corto di fondi. Ad esempio c’è stata una forte polemica, seguita da una petizione, per la messa all’asta di opere d’arte da parte del MET. Il New York Times ha riferito che il Met, di fronte a un deficit di $ 150 milioni, ha contattato le case d’asta e i suoi curatori per potenziali vendite di opere d’arte. La posta in gioco è importante. Il museo newyorkese, non è il primo, ma visto il peso dell’istituzione, potrebbe definitivamente sdoganare questa pratica, spingendo altri musei a seguirne l’esempio, in America, ma anche nel resto del mondo.

Meno arte per tenere in vita i musei?

Al MArTA di Taranto hanno trovato un modello alternativo, nuovo e avanzato, che ci piace moltissimo e che ha pure permesso di raddoppiare il fatturato. Il FabLab, un laboratorio di artigianato digitale creativo istallato all’interno del museo, un tour virtuale 3D dell’intero percorso museale e il coinvolgimento del pubblico remoto hanno permesso di attivare un circuito virtuoso che ha visto contribuire spontanemente, anche per il sostegno economico, un sempre maggior numero di visitatori

Bellissimo!

Speriamo che il Nuovo (!) Ministro della Cultura italiano prenda spunto!