Una donna da conoscere: Johanna Van Gogh – Bonger
Tutti conosciamo Vincent Van Gogh, il pittore olandese probabilmente più famoso dell’800, e forse di tutta la storia dell’arte. Non c’è proprio nessuno che non conosca i suoi famosi capolavori, dai Girasoli alla Notte stellata, e moltissimi conoscono anche la sua storia, fatta di fragilità e di disturbi mentali, e la sua morte prematura avvenuta in circostanze misteriose.
Quello che non tutti sanno, invece, è che la conoscenza e l’apprezzamento della sua opera pittorica, sviluppatasi dopo la sua morte, è in gran parte da attribuire a una donna, Johanna Bonger, una verità che è stata recuperata da pochissimi anni.
Jo – così chiamava sé stessa – nacque a Amsterdam il 4 ottobre del 1862 e crebbe all’interno di una famiglia della classe media olandese ricca di interessi culturali, come la musica e le arti in generale. È una ragazza curiosa e brillante, e la sua voglia di esplorare il mondo la porta a Londra, dove segue un buon corso di formazione in lingua inglese e dove per alcuni mesi lavora nella biblioteca del British Museum. All’età di 22 anni diventa insegnante di inglese in una scuola per ragazze a Utrecht.
A 17 anni aveva scritto sul suo diario: “Mi sembra terribile pensare di dire al termine della mia vita ‘Non ho vissuto; non ho raggiunto nulla di grande o nobile’”. A 22 anni conosce Theo van Gogh, un incontro che le servirà per sfuggire a una scialba carriera da professoressa e la porterà verso i suoi alti propositi. Infatti Theodorus, o Theo come veniva comunemente chiamato, stava cercando di fare successo come mercante d’arte nella città che allora era la più importante del mondo, la Parigi della Belle Époque, luogo dove si incontravano tutti i più grandi artisti, a cominciare da Cézanne e Gauguin. Theo non era un semplice mercante d’arte, ma era in prima linea nel promuovere giovani artisti che sfidavano il realismo imposto dall’Académie des Beaux-Arts. La maggior parte dei commercianti non volevano nemmeno toccare gli “impressionisti“, che invece erano clienti di Theo, che commercializzò Gauguin e Pissarro e Toulouse-Lautrec, i giovani uomini dell’avanguardia.

Quando Theo le dichiarò il suo amore, solo dopo due incontri, lei lo respinse infastidita, ma un anno dopo accettò di sposarlo ad Amsterdam, il 17 aprile 1889. L’incontro con Theo (che gli fu presentato da suo fratello Andries) non fu per Johanna dunque solo un incontro d’amore, ma fu l’occasione per vivere la vita che aveva sognato.
I ricordi sono custoditi da Johanna in un diario che scrive dall’età di 17 anni fino alla sua morte, una fonte preziosissima di notizie sui fratelli van Gogh. Nella primavera del 1890, Vincent giunse a Parigi e Jo lo conobbe finalmente di persona. Dai racconti del fratello, Jo credeva di trovarsi di fronte un uomo trasfigurato dal dolore. E invece sul suo diario scrive: “Di fronte a me si poneva un uomo robusto, con le spalle larghe, un colorito roseo e un allegro sguardo negli occhi, molto risoluto in apparenza. ‘Sembra molto più forte di Theo’ fu il mio primo pensiero”.
La loro abitazione parigina era ingombra non solo dello spirito di questo cognato artista del quale Theo le parlava così tanto, ma anche delle sue innumerevoli opere, che Vincent dipingeva a ritmi frenetici e che spediva a Parigi nella speranza che il fratello trovasse degli acquirenti.
Il suo matrimonio però ebbe vita breve, poiché Theo morì nel 1891 ad appena 33 anni, in seguito a una infezione da sifilide che probabilmente si acuì in seguito al gran dispiacere per la morte del fratello avvenuta pochi mesi prima, e lei rimase vedova con un figlio di appena un anno, Vincent.
Ancora nel suo diario, alla morte del marito, troviamo scritto: “Oltre alla cura del bambino, Theo mi ha lasciato un altro compito, l’opera di Vincent: devo farla apprezzare il più possibile, devo preservare inviolati per il bambino i tesori che Theo e Vincent hanno raccolto. Non mi manca uno scopo nella vita, ma mi sento sola e abbandonata”. Ancora: “È tutto un sogno tutto ciò che è passato, la mia breve felicità matrimoniale, anche questa non è altro che un sogno! Per un anno e mezzo sono stata la donna più felice della Terra”.
In un appartamento a Pigalle, al 54 di rue Lepic a Parigi, unica sua eredità, Theo conservava più di 200 opere dell’amato fratello Vincent, che aveva sperato di vendere con poco successo. Johanna vendette l’appartamento ma non le opere, che al momento non avevano alcun valore economico. Prima di lasciare Parigi, Jo ebbe una corrispondenza con Émile Bernard, uno dei pochi pittori con cui Vincent aveva avuto un rapporto stretto e privo di discordie, per vedere se il pittore poteva organizzare una mostra a Parigi del suo defunto cognato. Bernard la esortò a lasciare le tele di Vincent a Parigi, poiché la capitale francese era una base migliore in cui venderle, e questo poteva aver senso. Forse, col tempo, Bernard sarebbe riuscito a venderle. Ma Jo rifiutò la sua offerta, dimostrando una fermezza davvero notevole, portandosi così in Olanda l’eredità del cognato. Deludendo probabilmente le aspettative dei genitori che avrebbero voluto ricongiungersi con figlia e nipote, Johanna si stabilisce nel 1891 a Bussum, fuori Amsterdam, aprendo una pensione e integrando le sue entrate traducendo brevi racconti dal francese e dall’inglese.
D’ora innanzi la sua vita si sarebbe basata su due impegni principali: crescere il figlio, Vincent Willem, e rendere l’opera del fratello di Theo famosa nel mondo.

Vestita a lutto, si stabilì nella sua nuova casa a Bussum e sembra che abbia trascorso la maggior parte dei suoi primi mesi nel decidere dove appendere i moltissimi quadri del cognato, sua unica eredità rimasta. Alla fine, praticamente ogni centimetro di parete ne fu ricoperto. I mangiatori di patate era appeso sopra il camino, mentre aveva addobbato la sua camera con tre tele di vibranti frutteti in fiore. Sotto lo sguardo dei dipinti, soprattutto della Mietitura che aveva messo in sala da pranzo sopra la credenza, Jo si immerse nella corrispondenza tra Theo e Vincent, che già il marito le aveva annunciato di voler pubblicare. Leggendo quel carteggio, Johanna comprese che in quelle carte c’era tutta la vita di Vincent, la sua essenza, la sua arte, la sua follia, la sua disperazione, la sua vita, e si fece certa che la sua opera non sarebbe stata completa senza quelle lettere, e che le lettere avrebbero aiutato moltissimo la promozione delle tele. Le lettere erano le chiavi dei dipinti. E questa intuizione fu davvero decisiva per creare il mito di van Gogh.
Jo pubblica la corrispondenza, dopo un lungo lavoro, in un volume nel 1914. Nella prefazione, Johanna scrisse “Dopo la morte del fratello, Theo discusse con me il progetto di pubblicare le sue lettere, ma purtroppo lui venne a mancare prima che potessimo farlo”. Ancora: “Quasi ventiquattro anni sono passati dalla morte di Theo prima che fossi in grado di completare la loro pubblicazione. Mi è occorso molto tempo per decifrarle e per ordinarle cronologicamente, prive com’erano quasi tutte di data. Ma anche un’altra ragione mi ha trattenuto dal darle prima alle stampe: sarebbe infatti stato ingiusto nei confronti di Vincent creare un interesse attorno alla sua personalità prima che l’opera a cui aveva dedicato tutta la vita avesse ottenuto quel riconoscimento che meritava. Molti anni sono occorsi affinché Vincent venisse salutato come un grande pittore. Ora è giunto il momento di far conoscere e comprendere anche la sua personalità.”
Mentre Jo proseguiva la sua vita tra politica e matrimoni – sposandosi prima con il pittore Isaac Israël e poi con un altro pittore olandese, Johan Cohen Gosschalk – la fama di van Gogh aumentò a dismisura grazie alla sua attenta opera di promozione. Tra il 1892 e il 1900 riesce a organizzare circa 20 mostre dei dipinti di Vincent, tra grandi e piccole, e nel 1905 Johanna raggiunse il culmine della sua carriera con una mostra senza pari al Stedelijk Museum di Amsterdam che aveva preso in affitto per questo scopo: ben 484 opere esposte. Giunsero critici da tutta Europa, nei quali aveva creato la convinzione che non stessero più andando a scoprire un outsider, ma un ormai rinomato artista. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1925, si prese cura dell’eredità lasciata da Vincent van Gogh tra New York e Amsterdam; la sua conoscenza della lingua fu fondamentale per la traduzione delle lettere di Vincent in inglese, nella speranza che favorissero il gusto degli americani e della comunità internazionale.
Probabilmente Jo aveva condiviso alcune strategie del mercato dell’arte con Theo, che, ricordiamolo, era un commerciante d’arte, e seppe essere molto accorta riguardo alla promozione e alla vendita del lavoro di Vincent. In primo luogo decise di proporre l’opera e la persona di Vincent insieme. E questo grazie alle lettere che erano un punto di forza unico. Propose il pacchetto ai critici e li convinse. L’approccio funzionò perché si adattava ai tempi. Si stava infatti imponendo una visione romantica dell’arte e della letteratura, si faceva strada l’idea che un artista doveva essere un individuo incredibilmente sensibile, incompreso e che doveva soffrire per l’arte. Vincent interpretava questo ruolo alla perfezione.
In secondo luogo, usò in maniera accorta la sua rete di amici e connessioni per diffondere l’opera del cognato lentamente e delicatamente in ogni singola mostra che organizzò, non importa se grande o piccola. E terzo, Jo sapeva bene che vendere una tonnellata di opere inondando il mercato era assai controproducente. È economia di base, bisognava aumentare l’interesse per Vincent e le sue opere, offrendo pezzi selezionati per le esposizioni, e per la vendita solo quando era il momento giusto e i collezionisti chiedevano a gran voce. Una strategia che ha funzionato alla perfezione, e che è anche alla base del successo del Museo Van Gogh, anche questo una sua idea.
Una donna sola, vedova e con una montagna di dipinti di un artista che nessuno voleva ha creato un impero. Chapeau!
