Mar 10, 2021

Quasi 720 anni fa, Il 10 Marzo 1302, «Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia» (Libro del chiodo – Archivio di Stato di Firenze)

Le accuse erano pretestuose, si trattava di una vendetta politica, ma Dante fu comunque condannato insieme ad altri quattro, tutti contumaci.

E da quel momento, non rivide più la sua patria.

Ma come era la Firenze che lasciava?

Quella in cui Dante visse era una città piena di cantieri, dove il comune e la Chiesa stavano spendendo moltissimo, e dando lavoro a folle di manovali, per creare la Firenze che noi conosciamo, e che Dante, (…), non vide mai completata: dal 1279 era aperto il cantiere di Santa Maria Novella, dal 1284 quello della Badia, dal 1295 quello di Santa Croce, dal 1296 quello di Santa Maria del Fiore, dal 1299 quello di Palazzo Vecchio. Come oggi Londra o New York, Firenze pulsava di vita e di denaro, e cambiava faccia senza rimpianto né riguardi per il passato”, scrive Alessandro Barbero in “Dante” (Ed. Laterza, 2020)

Ma quali opere, di quelle a noi rimaste, riuscì a vedere?

Sicuramente il Crocifisso Cimabue, eseguito tra il 1280 ed il1285 per Santa Croce a Firenze, ed anche quello di Giotto -di cui Dante fu praticamente coetaneo- dipinto tra il 1285 e il 1290 per Santa Maria Novella.

Come ha spesso ricordato Barbero, il medioevo in cui visse Dante non fu certo un’epoca cupa e barbara. Anche in pittura, come sappiamo, erano anni rivoluzionari e positivi.

Il dogma bizantino delle icone che sustanziano la divinità e hanno un posto preciso nell’area destinata alla liturgia, venne sovvertito.

Le icone, probabilmente perché inizialmente trattate come reliquie in Occidente, e per questo degne di un posto sull’altare, non furono più costrette nell’iconostasi e potettero quindi assumere qualsiasi forma e dimensione, offrendo molta più libertà agli artisti.

Libertà di espressione e riconoscimento di stato sociale che consentono a Giotto di inventare un nuovo linguaggio e all’arte di passare da dover imitare l’oreficeria per essere considerata preziosa, ad incantare per la capacità di rappresentare la vita.

È un percorso affascinante di cui abbiamo parlato in occasione del Convegno “Paths to Europe”, del 2015 a Bruxelles e che potete ritrovare nel database delle opere della Pinacoteca di Siena, che documentano questo straordinario momento, che ora, anche grazie alle indiscusse doti comunicative di Barbero, viene riscoperto.