Stefano Garosi, uno dei restauratori fiorentini più conosciuti, ci racconta di sé e di cosa ha visto cambiare sotto i suoi occhi
Stefano, come sei diventato restauratore? Quale è stato il tuo percorso formativo?
E’ stato un percorso tortuoso, un po’ come essere sulle montagne russe. Provengo da una dinastia di decoratori e doratori: mio bisnonno si è formato nelle botteghe granducali intorno a Palazzo Pitti, a Firenze. Io sono stato avviato al restauro all’età di 12 anni, dopo aver conosciuto Ennio Regola. Rimasi affascinato da questa attività che conobbi nel suo studio. Una scelta per me spontanea, una formazione di bottega, anche perché all’epoca scuole di restauro non esistevano. Contemporaneamente al mio lavoro in bottega ho frequentato l’istituto d’arte, ma il mio percorso formativo come restauratore è stato un vero e proprio apprendistato vecchio stampo.
Parliamo ora di un tuo lavoro. Con Art-Test ci sono state molte occasioni di collaborazione, vuoi ricordarne qualcuna?
Lavoriamo insieme da molto tempo, tanti tanti anni. Per me é stato sempre piacevole il modo in cui abbiamo potuto instaurare un vero e proprio dialogo tra diagnostica e restauro.
Abbiamo fatto insieme molti lavori per proprietari privati, fra cui un dipinto a attribuibile ad Andrea Del Sarto, forse uno dei primi lavori fatti insieme, come anche il Marco Pino, e molte altre cose. Uno dei pezzi più importanti, di proprietà pubblica è stato “La Pazienza” del Vasari oppure il Frans Floris, “Adamo ed Eva“, entrambi della Galleria Palatina. Nella riflettografia di quest’ultima opera abbiamo scoperto che stato inizialmente previsto di dipingere un gatto, idea che poi è stata abbandonata.
Quest’ultimo spiega perfettamente il rapporto che ci deve essere fra il diagnosta e il restauratore: certe cose il restauratore da solo le può solo intuire, ma non le può vedere. Come sarebbe stato possibile vedere il gatto che c’era sotto? Si può capire se sono presenti dei pentimenti, si possono distinguere le ridipinture, ma è proprio in questi casi che si ha bisogno di strumenti che un restauratore non ha, è qui che entra in campo un’altra figura professionale: il diagnosta, ed è fondamentale per un restauratore avere questo contributo.
In generale quali sono i problemi che più comunemente si incontrano durante un restauro in cui è più utile la diagnostica?
Come nel caso di cui si stava parlando prima. O come nel caso del dipinto che insieme andremo a studiare a breve, che è totalmente ridipinto. Si tratta di una Madonna attribuita a Lorenzo di Credi. Andando ad osservare attentamente il quadro, anche con il microscopio, quello che vedo è che del dipinto originale c’è rimasto poco, pochissimo. Probabilmente è un quadro che ha subito una pulitura sciagurata e che è stato ridipinto completamente. È una bella ridipintura, chi l’ha restaurato, o ridipinto, era un bravo pittore.
Ma non puoi avventurarti nella rimozione di quello che si vede in superficie con il rischio di non trovarti nulla. C’è bisogno di un’indagine approfondita, e precisa, che possa permettere di capire in quale condizione si trova il dipinto sottostante e cosa ne è rimasto. Se dalle indagini si riesce a capire che vale la pena riuovere quello che si vede ora, è un bene. Ma se le indagini confermano i miei dubbi, è meglio lasciare tutto così com’è. L’indagine può essere considerata come un restauro preventivo, un modo per non commettere errori, evitando eccessi.
Lavori da molti anni in questo campo, che cambiamenti hai notato per esempio a livello di clientela, prezzi e committenze?
Negli ultimi anni è cambiato tutto. In oltre mezzo secolo cambia tutto, in qualunque settore, ma soprattutto in questo.
È cambiata totalmente la formazione dei restauratori. Nella bottega c’era un ottimo rapporto con il lavoro, c’era una formazione proprio sul lavoro, anche se molto spesso il restauratore medio aveva una cultura restaurativa bassa, per non parlare della cultura in generale. Poi ci sono stati quei restauratori riconosciuti come maestri che oltre ad avere una capacità operativa eccellente possiedevano una grande cultura restaurativa e generale: personaggi come Leonetto Tintori, Alfio Del Serra, Paolo Gori, che operavano nella Firenze nel periodo prima della guerra o immediatamente dopo.
Poi è cambiato il mercato. Il mercato antiquario, qui a Firenze, è agonizzante; per ragioni economiche, burocratiche, e anche perché da parte degli operatori c’è poca voglia di fare, e gli operatori più bravi vanno a lavorare all’estero.
È inoltre cambiato il gusto. Non ci sono collezionisti giovani di arte antica, preferiscono collezionare il contemporaneo. Credo che per un giovane sia più facile comprendere il contemporaneo che non l’antico, ovviamente è più vicino al tempo in cui vive, gli è naturale, e questo si riflette poi sulla scelta delle opere d’arte da comprare.